Alle origini dell’usura

 

Usura. Poche parole, nel corso dei secoli, hanno assunto significati così diversi da quello originario. Derivante dalla parola latina usus (uso, utile), l’usura indicava semplicemente il compenso dovuto per l’uso del capitale altrui, senza che al termine si accompagnasse un significato indegno o moralmente riprovevole. In seguito, col diffondersi del fenomeno della crescente esosità dei prestiti di denaro, l’uso della parola fu ristretto ad indicare quei prestiti che comportavano una eccessiva gravosità dell’impegno finanziario del debitore.

Nell’antichità e per tutto il medioevo, qualsiasi forma di pagamento di interessi su somme di denaro prestate, fu considerata usuraria e, pertanto, condannata dalla Chiesa come peccaminosa.
Nella Bibbia, la condotta dell’usuraio era considerata riprovevole e sono molte le citazioni dalle quali si coglie il senso del peccato che commette l’usuraio.

Il concetto è stato ben espresso da Tommaso da Chobham, teologo inglese del XIII secolo: “l’usuraio vende il tempo che intercorre tra il momento in cui presta a interesse e quello in cui riscuote l’interesse stesso, ma il tempo non gli appartiene; esso è di Dio. Egli ruba pertanto a Dio.”

Nel corso del XV secolo, con il profondo mutamento della società dovuto anche al fiorire degli scambi commerciali e con il dilagare delle richieste di prestito, si assistette in Italia alla nascita di un nuovo istituto di credito al consumo,  il cosiddetto “Monte di pietà”. La parola “monte”, veniva intesa nel senso economico di cumulo, fondo di valute adibito a beneficio dei bisognosi per fini di misericordia. In sostanza si cercò di applicare un rimedio all’usura, di trovare una nuova fonte di prestito in grado di garantire gli strati più deboli della società.
La chiesa cattolica, per la prima volta, si pronunciò con un certo possibilismo sul problema dei prestiti di denaro a interesse; pur confermando la condanna generale dell’usura, si autorizzava il pagamento di piccole somme per le spese di gestione dei Monti di Pietà.

La discussione sulla liceità o meno dell’interesse finanziario continuò fino a quando alla fine del 1700 l’atteggiamento di sfavore si attenuò decisamente; si ritenne lecita ogni forma di prestito purché esercitata nei limiti di proporzione e legalità.

Nel nostro ordinamento il fenomeno dell’usura è stato ritenuto penalmente rilevante soltanto con l’introduzione del codice penale del 1930, il cosiddetto codice Rocco, così generalmente definito dal nome del guardiasigilli dell’epoca.
Il codice Rocco, ancora in vigore, prevedeva il reato di usura all’art. 644 c.p., nel capo relativo ai “delitti contro il patrimonio mediante frode”. La norma, che è rimasta inalterata per 66 anni fino alle modifiche della legge del 1996, puniva con la pena di reclusione sino a due  anni e con una sanzione pecuniaria, colui il quale, “approfittando dello stato di bisogno di una persona, si facesse dare o promettere, sotto qualsiasi forma per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa mobile, interessi o vantaggi usurari.”
La legge lasciava aperti gli aspetti relativi alla definizione di concetti quali “interessi o vantaggi usurari” e “stato di bisogno”, demandando al giudice, attraverso la sofferta esperienza del processo, il compito di individuare, di volta in volta, la ricorrenza di tali presupposti.

Nel secondo dopoguerra, il mercato dell’usura cominciò a dilatarsi agevolato in un certo senso dalla rigidità del sistema creditizio ufficiale, impreparato a gestire e a dare risposte adeguate alla domanda sempre più pressante di credito al consumo, nonché subordinato alla procedura di richiesta di garanzie che i potenziali clienti non erano in grado di offrire.

Un primo significativo intervento si ebbe nel 1992, nell’ambito di provvedimenti più ampi, volti a contrastare la criminalità mafiosa.

Con la legge 7 agosto 1992, n.356, che modificava soltanto l’aspetto sanzionatorio del reato, veniva introdotto all’art. 644 bis, una nuova fattispecie denominata “usura impropria”, che puniva meno gravemente, colui il quale, con la stessa condotta prevista per il reato di usura tipica, approfittasse delle condizioni di difficoltà economica o finanziaria di persona che svolge attività imprenditoriale o professionale. La differenza con l’usura tipica, riguardava il soggetto che riceveva il prestito usurario e la logica che presiedeva la norma era di tipo economico, avendo come scopo quello di tutelare la sopravvivenza di imprese che versavano in uno stato di sofferenza e non tanto quello di tutelare la libertà contrattuale di ciascun individuo.

Con la legge 7 marzo 1996, n. 108, fortemente voluta, tra gli altri, dalle prime fondazioni antiusura, si compie un notevole passo avanti nella lotta all’usura.

Abolita la figura dell’usura impropria, vengono ridefiniti i contorni del reato di usura previsto all’art. 644 c.p. prevedendo al contempo, una serie di interventi volti ad arginare in maniera più efficace gli effetti legati alla commissione del reato, oltre ché ad assicurare una maggiore tutela delle vittime del reato, anche dal punto di vista patrimoniale.

Innanzitutto, la legge 108/96 riconosce il carattere usurario dell’interesse, introducendo il concetto di “tasso soglia” oltre il quale si verifica l’usura, il cui calcolo è stato recentemente modificato dal Decreto Sviluppo del maggio 2011. Inoltre, dal punto di vista del diritto sostanziale, la legge ha introdotto cinque aggravanti che prevedono un aumento di pena da un terzo alla metà, come ad esempio nel caso in cui il reato venga commesso da persona che agisca nell’esercizio di un’attività professionale, bancaria o di intermediazione finanziaria.

Sul piano della tutela delle vittime, l’art. 14 istituisce il Fondo di Solidarietà per le vittime dell’usura che provvede, attraverso il Comitato di solidarietà attualmente presieduto dal Commissario antiracket e antiusura Trevisone, all’elargizione di un mutuo senza interessi di durata non superiore ai cinque anni, a favore di soggetti che esercitino attività imprenditoriale, artigianale o comunque economica che dichiarino di essere vittime di usura e che risultino parte offesa nel procedimento penale.

All’art. 15, la legge istituisce il Fondo di prevenzione che ha come principale obiettivo quello di arginare il fenomeno dell’usura in via anticipata, rafforzando il sistema delle garanzie  e agevolando l’accesso al credito da parte di soggetti fortemente sovra indebitati e a rischio usura.

E’ notizia del 28 ottobre scorso, la Commissione giustizia della camera, ha approvato in sede legislativa il provvedimento di modifica della legge 108/96. Il provvedimento apporta alcune modifiche positive in quanto, ad esempio, prevede che  le vittime dell’usura possano accedere al Fondo di solidarietà, una volta denunciato l’usuraio, anche nelle fasi preliminari delle indagini, con il parere favorevole di Pubblico Ministero. Attualmente l’accesso è consentito solo dopo l’emanazione del decreto che dispone il giudizio nel procedimento penale per il delitto di usura.

Attendiamo la conclusione dell’iter legislativo di questo provvedimento già molto discusso, per analizzare in modo approfondito le modifiche che verranno apportate alla legge 108/96.

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